IL PIU' GRANDE MONUMENTO DEL MONDO SANNITICO
A Pietrabbondante, sul pendio di Monte Saraceno, i Sanniti edificarono un maestoso complesso di culto costituito da un teatro, un tempio e due edifici porticati ai lati di quest'ultimo. I lavori iniziarono alla fine del II secolo a. C. e terminarono nel 95 a. C.
L'edificio, così articolato, era destinato sia al culto che alle attività istituzionale, perché, se nel grande tempio si svolgevano riti religiosi, nel tetro si riuniva il senato per adottare deliberazioni importanti nell'interesse dello Stato.
Il complesso teatro-tempio, ridotto a resti di mura imponenti fuori terra, si trova nella periferia di Pietrabbondante, a 966 metri sul livello del mare, a fianco ad un altro tempietto con botteghe porticate di epoca precedente ( inizio II sec. a.C. ).
Per costruirlo, i Sanniti ricavarono due terrazzi lungo il fianco del monte, a livelli diversi ma su un unico asse. Quello in alto ospitò il tempio e i due edifici porticati laterali; quello in basso, il teatro. Dimensioni complessive dell'area: 55 x 90. Al complesso culturale si accedeva non dall'attuale strada provinciale, bensì dalla via a valle, poco distante dal fronte del teatro.
Il prospetto non era allineato sulla strada, come avviene in genere oggi, ma sul corso del sole. L'intero santuario è così orientato ad est/sud-est, in modo da poter osservare dal suo fronte la nascita del sole ogni giorno dell'anno. Questo rientrava nei principi della disciplina augurale.
Il teatro si compone di due elementi: la càvea e l'edificio scenico, legati tra loro da due archi di pietra posti alle estremità dell'iposcenio. La càvea contiene 2500 spettatori. L'acustica è perfetta. Coloro che entravano, superato il cancello, passavano sotto l'arco dell'iposcenio e prendevano posto sui sedili di pietra. Una volta seduti avevano di fronte il palcoscenico dominato dal prospetto dell'edificio scenico con tre porte che immettevano ai camerini degli attori. Le attuali emergenze a terra rappresentano la parte sottostante adibita probabilmente a magazzini. Gli ingressi: due sul fronte; uno laterale, verso nord, per l'acceso della gente comune alla parte alta della càvea adattata con sedili smontabili, probabilmente in legno; l'altro sulla curva posteriore con piccola porta di collegamento col tempio.
Il teatro insiste sul sito ove nel III secolo a.C. si trovava un tempio ionico porticato, distrutto da Annibale nel 217 a. C. Il tempio sorge alle spalle del tetro. Ciò che si vede oggi è solo il basamento (podio), sul quale si alzavano, nella parte anteriore, otto colonne sormontate da capitelli corinzi con epistilio ligneo rivestito di terrecotte decorate e, nella parte posteriore, tre celle (cappelle) pavimentate con finissimo mosaico bianco e dedicate a divinità diverse.
Il tetto era costruito con cura: capriate, traverse, tavole, lamine di piombo, tegole (provenienti da Venafro e ciascuna del peso di 52 chili). Celle e colonne avevano fondazioni proprie, per cui il possente muro perimetrale del podio fungeva da semplice rivestimento decorativo. Le tre are (due sole ritrovate e prive delle cornici di coronamento) allineate tra teatro e tempio erano dedicate ad altrettante divinità, una delle quali doveva essere Vittoria, nome inciso su una lastrina di bronzo venuta alla luce durante gli scavi. Le are erano sormontate da elaborate cornici decorate con motivi floreali e teste di ariete. I conci scuri sono in genere quelli originali, come i gradini scuri della scala incassata. Sul lato sinistro una scritta in lingua osca ricorda Stazio Claro, personaggio importante che fece costruire a sue spese metà del podio. Sul lato posteriore del tempio, nel muro di contenimento del terreno (lato nord), un simbolo fallico è scolpito su un blocco con funzione magica di protezione dalle sventure. Ai lati del podio, i due porticati con resti di edifici adibiti a botteghe e servizi vari completano l'armonico complesso.
Il monumento nel II secolo d. C. risultava abbandonato e completamente sepolto da detriti alluvionali. Gli scavi furono condotti in diverse fasi: nel 1857 e 1858, ad opera dei Borboni; nel 1871 - 72, per interesse della Provincia; nel 1959 e negli anni successivi per intervento della Soprintendenza Archeologica del Molise. Si tratta di un originale organismo architettonico in cui confluiscono elementi italici, ellenistico-campani e latini (tempio a tre celle, modello del comizio).